Una tecnologia di fabbricazione dei display che per produrre un'immagine
utilizza filtri polarizzati e celle di cristalli liquidi al posto di uno
schermo fosforescente bombardato da un fascio di elettroni (vedi CRT).
In origine questi schermi erano solo monocromatici, ma oggi ne esistono
anche versioni a colori. Per controllare l'intensità dei punti rossi,
verdi e blu che compongono l'immagine, il circuito di controllo modifica
la quantità di carica elettrica applicata a ciascuna cella di cristalli
liquidi. La luce viene innanzitutto polarizzata da un primo filtro, questo
significa che viene orientata su un singolo piano invece di essere diffusa
a 360 gradi come di solito, dopo di che attraversa la cella e viene deviata
in funzione dell'orientamento assunto dai cristalli liquidi. La quantità
di luce che attraversa la singola cella dipende dalla quantità di carica
elettrica applicata a quest'ultima. Se la luce viene deviata dal proprio
percorso originale oltre un certo angolo non riuscirà ad attraversare
un secondo filtro posto prima della maschera verde, rossa o blu, attraverso
cui deve passare per assumere la colorazione voluta. Gli LCD vengono usati
comunemente sui computer portatili. Tutti i display che usano cristalli
liquidi vengono costruiti sovrapponendo a mo' di sandwitch sette strati
fondamentali. Al centro c'è lo strato molle dei cristalli liquidi veri
e propri (alcuni micron di spessore) contenuto tra due sottili lamine
di vetro che hanno scanalature rettilinee sulla superficie interna, quella
rivolta verso il cristallo liquido. Le scanalature sono ricavate depositando
sulla superficie interna del vetro una sottile pellicola trasparente che
viene quindi ¨arata~ con tecniche di precisione. Le scanalature della
lamina superiore sono perpendicolari rispetto a quelle della lamina inferiore.
Di conseguenza i cristalli, che seguono l'orientamento delle scanalature
incise sulla superficie a loro più vicina, finiscono per descrivere una
spirale che ruota di 90 gradi, partendo dall'orientamento logitudinale
di una lamina per arrivare a quello latitudinale dell'altra. Il nome assegnato
a questo genere di tecnologia è twisted nematic, vale a dire cristalli
nematici ruotati. La luce che entra da un estremo tende ad attraversare
lo strato di cristallo seguendo l'orientamento dei vari ¨filamenti~ di
quest'ultimo. Di conseguenza esce all'altro estremo ruotata di 90 gradi.
Se aggiungiamo elettrodi trasparenti sul entrambe le superfici esterne
delle lamine trasparenti potremo applicare un campo elettrico che costringa
i cristalli a orientarsi tutti nella stessa direzione, azzerando l'influenza
di attrazione spontanea esercitata dalle scanalature. Quando il campo
elettrico viene applicato, la luce attraversa il cristallo senza subire
alcuna rotazione. Questa variazione di fatto non è apprezzabile dall'occhio
e perciò bisogna aggiungere altri due strati composti da un filtro polarizzatore
(del tipo impiegato nelle lenti per occhiali da sole e in altri apparati).
La caratteristica di questi filtri è di far passare unicamente la luce
orientata lungo un asse ben definito. Allineando questo asse con la direzione
delle scanalature incise sul vetro, avremo che la luce entra esattamente
alineata con lo primo strato di cristalli liquidi e quindi prosegue seguendo
la rotazione dei cristalli fino a uscire all'altro estremo perfettamente
allineata con il filtro di uscita. Quando, però, si applica il campo elettrico
e il cristallo abbandona la condizione di riposo per allinearsi lungo
una sola direzione, la luce viene intercettata dal filtro in uscita, rispetto
al quale ora è sfasata di 90 gradi, e lo schermo appare nero o grigio
scuro in quel particolare punto. Potete riprodurre sperimentalmente questo
fenomeno nella pratica senza l'ausilio dei cristalli liquidi: prendete
due filtri polarizzati (magari le lenti di due occhiali Polaroid) e sovrapponetele:
la luce continuerà a passare, anche se attenuata dalla colorazione delle
lenti. Ora ruotate di 90 gradi una delle due lenti così che siano perpendicolari
tra loro e osservate che diventano sempre più scure a mano a mano che
vi avvicinate alla completa rotazione, dopo di che non vedrete più nulla.
Questa è la disposizione tipica dei filtri montati su un LCD e l'unico
motivo per cui la luce attraversa il display è grazie all'influenza del
cristallo che costringe il fascio luminoso a ruotare di 90 gradi lungo
il suo percorso. Quando viene invece applicato il campo elettrico, i filamenti
di cristallo diventano tutti paralleli, di conseguenza la luce non viene
più ruotata e viene bloccata. Per questo motivo i display a cristalli
liquidi vengono anche chiamati LCD shutter, vale a dire otturatori LCD,
prendendo il termine a prestito dalla fotografia. Quando l'otturatore
di una macchina fotografica si apre, la luce passa e la pellicola viene
impressionata, quando si chiude, il passaggio cessa e l'interno rimane
buio. A seconda del numero di elettrodi che costruiamo nei due strati
intermedi, avremo tanti punti o aree del display che si comporteranno
come tanti otturatori indipendenti, descrivendo nell'insieme lettere,
numeri o figure. I più elementari display LCD, quelli montati sugli orologi,
sulle calcolatrici e sui pannelli di controllo, usano questo genere di
struttura e aggiungono semplicemente su uno dei due lati una superficie
riflettente così che la luce entri dall'alto e venga riflessa all'indietro
oppure non venga riflessa, mostrando un'area nera o grigia, quando viene
applicata tensione all'elettrodo corrispondente a quella particolare area.
Poiché gli elettrodi sono costruiti in materiale plastico, è possibile
conferire loro qualsiasi forma a piacimento. La prima forma sperimentata,
che ciascuno di noi conosce, è quella dei sette segmenti allungati che
composti tra loro formano una cifra o una lettera: li si trova in orologi
e calcolatrici e sono gli eredi dei precedenti display LED(tipicamente
rossi o verdi) che li hanno preceduti e che avevano il pregio di emettere
luce e di essere quindi anche visibili al buio, ma che comportavano lo
svantaggio di consumare parecchia corrente (in rapporto alla capacità
delle batterie miniaturizzate usate in un orologio). Successivamente si
è passati a realizzare display con singoli punti, piuttosto grossolani,
ma abbastanza numerosi per tracciare lettere maiuscole e minuscole, simboli
e cifre (li si vede negli apparati industriali, sui pannelli di controllo
incorporati in alcune stampanti o server, e sono stati anche utilizzati
per i monitor computer: chi è vecchio del mestiere si ricorderà il mitico
portatile M10 Olivetti). Oggi si possono costruire display a specchio
con punti tanto piccoli da poter visualizzare anche immagini grafiche
di ragionevole qualità (come nei computer palmari) oppure figurine che
simboleggiano la batteria, il disco rigido, la spina dell'alimentatore
e altro ancora, nei pannelli di controllo integrati sopra la tastiera
di molti notebook. La vera svolta nell'impiego dei cristalli liquidi come
tecnologia di visualizzazione è arrivata con l'impiego del colore. Condizione
primaria per realizzare un oggetto di questo tipo è disporre della retroilluminazione,
cioè una fonte luminosa uniforme e regolabile che si trovi dietro al pannello
LCD e che attraversi quest'ultimo per arrivare fino agli occhi dell'osservatore.
In questo caso non si usa uno specchio che rifletta la luce che entra
nel display dal davanti, bensì l'illuminazione arriva da dietro e può
essere vista agevolmente anche in condizioni d'illuminazione ambientale
scarsa. Anzi, a differenza di quanto avviene con i display a luce riflessa,
che si vedono meglio quando la luce circostante è alta, i monitor retroilluminati
perdono di qualità quando usati all'aperto o molto vicino a una finestra
da cui entra il sole. Il colore è ottenuto facendo passare la luce attraverso
tre filtri colorati (rosso, verde e blu, come nella televisione, e sommando
in un singolo punto - pixel - l'effetto dei tre punti). A ciascun punto
corrisponde un elettrodo e mediante l'apertura o la chiusura dell'otturatore
elettronico corrispondente otteniamo tre punti tutti oscurati (nero) oppure
uno, due o tre punti illuminati, che combinandosi ci danno un punto con
diverse colorazioni (per lo meno 256, anche se ormai è comune trovare
display con 65.536 colori e la tecnologia si sta spingendo oltre). Un'altra
caratteristica di questi display è la dimensione. I primi LCD a colori
per notebook avevano una diagonale di circa 8 pollici e risultavano perciò
decine di volte più grandi dei tradizionali display LCD a striscia che
vediamo sui pannelli di controllo o sulle calcolatrici. Col tempo la dimensione
è cresciuta fino ad arrivare a 14 pollici e già esistono anche display
più grandi. L'aumento della dimensione ha sollevato il problema di uniformare
la qualità di visualizzazione e di aumentare la risoluzione. Il primo
passo in questo senso è stato di ampliare il grado di torsione dei cristalli
portandolo a 270 gradi. Si parla in questo caso di STN ( SuperTwisted
Nematic). La tecnica STN consente di ottenere un contrasto migliore su
schermi di grandi dimensioni, contrasto che viene ulteriormente migliorato
quando si aggiunge una seconda cella STN sopra la prima facendo in modo
che la rotazione delle due sia contrapposta e risulti un punto completamente
bianco. Questa sovrapposizione viene identificata con la sigla DSTN (Double
Super Twisted Nematic) e migliora anche la resa cromatica dell'immagine.
I display DSTN sono più pesanti e corposi degli STN, ma correggono l'alterazione
dei colori che si nota in questi ultimi. Una terza variante prende il
nome di TSTN (Triple Super Twisted Nematic). Si tratta sempre di DSTN
a cui sono stati aggiunti due sottili strati di pellicola polimerica (plastica)
con altro potere di rifrazione e idonea per costruire display monocromatici
di qualità eccellente oppure per migliorare ulteriormente la resa cromatica
dei display a colori. La gran parte dei notebook con display a matrice
passiva usa la tecnologia DSTN o TSTN. Si parla di matrice perché lo schermo
è suddiviso in una serie di punti, ciascuno indirizzato separatamente.
Dalla combinazione di punti accesi e spenti si forma l'immagine grafica
colorata. La sua formazione assomiglia a quella del quadro televisivo:
si traccia una riga alla volta, aprendo o chiudendo tutti i pixel di quella
riga (così che facciano o meno passare la luce che arriva dalla lampadina
di retroilluminazione), quindi si passa alla riga successiva fino a che
si raggiunge il fondo del display e si ricomincia da capo. Non appena
il campo elettrico viene tolto, l'immagine della prima riga appena tracciata
comincia a dissolversi e questa dissolvenza diventa sempre più accentuata
a mano a mano che si scende con le righe successive. L'unico motivo per
cui l'immagine non scompare immediatamente è che i cristalli per DSTN
restano in posizione per qualche tempo anche dopo che il campo elettrico
ha cessato d'influenzarli. Lo svantaggio di questo genere di display è
che l'immagine appare abbastanza slavata e tende anche un poco a sfarfallare
(si nota la scansione progressiva verso il basso e l'altrettanto progressiva
dissolvenza). Inoltre, poiché i cristalli usati sono di tipo ¨lento~,
al fine di mantenere le informazioni per un certo tempo, il display a
matrice passiva non si presta a visualizzare immagini in rapido movimento
e presenta spesso effetti di striatura orizzontali e verticali, per il
fatto che gli elettrodi di una certa riga o di una certa colonna s'influenzano
tra loro, creando aloni che prolungano le cornici delle finestre fino
ai bordi dello schermo. Un modo per migliorare il funzionamento di questi
oggetti consiste nel dividere lo schermo in due metà verticali e nell'eseguire
una doppia scansione contemporanea, costruendo due linee alla vota, una
nella metà superiore e una nella metà inferiore, arrivando solo sino alla
fine di quella metà prima di ricominciare. In questo modo lo schermo viene
rigenerato il doppio delle volte, l'immagine risulta più brillante e meglio
definita e lo sfarfallio scompare quasi del tutto. Questo genere di display
viene definito dual scan. Resta pur sempre il problema che l'immagine
risulta praticamente invisibile a chi osserva lo schermo con una leggera
angolazione, come potrebbe accadere a uno spettatore che guarda il nostro
lavoro al computer, e la velocità di rigenerazione non è comunque tale
da permettere la visualizzazione d'immagini in rapido cambiamento (il
tempo di risposta medio è di 300 millisecondi). Inoltre, al crescere della
risoluzione, si moltiplica anche il numero di linee da tracciare e perciò,
un display dual scan che potrebbe essere abbastanza nitido alla definizione
di 640 x 480 (ogni metà è composta da 240 righe) diventa subito meno inciso
a 800 x 600 punti (si aggiungono 60 righe per ciascuna metà), una risoluzione
ormai abbastanza diffusa anche nei notebook economici. Fino a tre anni
fa, la gran parte degli utenti di notebook usava display a matrice passiva.
Chi aveva budget limitati lavorava con schermi monocromatici, chi invece
aveva qualche lira in più si concedeva il lusso del colore. Solo pochi
potevano permettersi la nitidezza e la brillantezza della matrice attiva.
Oggi la situazione si va rapidamente trasformando e, benché la percentuale
di utilizzatori di tecnologia DSTN sia ancora corposa, l'utente medio
cerca di puntare al massimo della qualità, magari risparmiando sulle dimensioni
del display. La matrice attiva offre notevoli vantaggi. Innanzi tutto
la luminosità è molto maggiore e l'angolo di visione si estende a 45 gradi
e oltre, consentendo anche agli spettatori vicini di vedere quel che compare
sul monitor del computer. È possibile visualizzare immagini in rapido
movimento senza scie o discontinuità (il tempo di risposta è di 50 millisecondi
invece di 300 millisecondi) e senza sfarfallio, di conseguenza questa
tecnologia può anche essere utilizzata per i computer convenzionali (al
posto del tubo a raggi catodici, ingombrante e poco salutare) oppure come
schermo per le nuove televisioni ultra piatte. Il contrasto è superlativo
(150 o 200 a 1 contro il 30 a 1) perciò si ha un distacco tra nero e bianco
persino migliore di un tubo a raggi catodici e il testo diventa facilmente
leggibile. I due soli inconvenienti sono il prezzo, peraltro tendenzialmente
in calo grazie al miglioramento dei processi produttivi, e il consumo,
che richiede l'impiego di batterie più capienti e più costose. Il principio
di funzionamento è molto simile a quello di un display LCD con matrice
passiva di tipo base (TN - Twisted Nematic). Anche qui abbiamo una fonte
di retroilluminazione che genera una luce bianca che viene filtrata attraverso
due filtri polarizzatori perpendicolari tra di loro e tre filtri colorati
(rosso, verde e blu) posti a strisce alternate una vicina all'altra così
da formare gruppi di tre sub-pixel la cui somma genera un singolo pixel
(punto luminoso) variamente colorato. L'unico cambiamento è nella matrice
degli elettrodi che pilotano le singole celle ( i singoli sub-pixel).
Invece di avere soltanto coppie di elettrodi che ricevono tensione ciclicamente
a mano a mano che il display viene rigenerato, qui si aggiunge un transistor
di memoria per ciascuna cella. Il transistor è un componente elettronico
capace di memorizzare un'informazione digitale (0 oppure 1). Perciò, una
volta che riceve l'informazione, il transistor la memorizza mantenendo
la cella in quello stato fino a quando una nuova informazione viene fornita.
Di conseguenza è possibile usare uno strato di cristalli più sottile e
fluido visto che, a differenza di quel che accade nei display DSTN, non
dobbiamo più contare sull'inerzia del singolo cristallo per mantenere
visibile l'immagine quando lo schermo viene ridisegnato (o semplicemente
rinfrescato) una riga per volta. Il transistor è collocato sul dorso della
lastra trasparente (vetro) sul retro del display. Per questo motivo deve
essere a sua volta trasparente e non impedire il passaggio della luce.
La materia utilizzata per fabbricarlo è un film (pellicola) sottile di
materiale plastico, da cui il nome TFT, Thin Film Transistor - transistor
a film sottile. Lo strato è talmente sottile da essere nell'arco del decimillesimo
di millimetro e del centimillesimo di millimetro, cioè da un decimo a
un centesimo di micron. Per realizzare uno spessore tanto ridotto è necessario
un processo produttivo molto preciso e controllato, e diventa quasi impossibile
evitare difetti visto anche il numero di transistor che bisogna distribuire
sulla matrice del display. Un tipico schermo a colori con una risoluzione
SuperVGA usa 800 x 600 x 3 colori = 1.440.000 transistor individuali.
Diventa perciò normale avere, anche nei display più pregiati, un certo
numero di transistor difettosi che compaiono nella forma di un puntino
(pixel) che rimale sempre illuminato di un certo colore oppure sempre
nero (partecipa solo in parte alla visualizzazione dell'immagine, del
testo o della grafica riprodotti sullo schermo). Secondo i propri parametri
di qualità, ciascun produttore definisce il numero di sub-pixel difettosi
ammissibile in una determinata area. Diciamo che, per un display SVGA,
si possono accettare fino a dieci o quindici difetti e che la distanza
minima ammissibile tra due difetti è di 5 millimetri. Se il numero di
difetti supera la ventina oppure ci sono interi grappoli di punti difettosi
riuniti insieme, il display va scartato e bisogna chiedere al fornitore
o al rivenditore di sostituirlo. Chiunque può eseguire questo controllo
a occhio nudo, portando sullo schermo uno sfondo completamente nero, completamente
bianco, completamente verde, completamente blu e completamente rosso.
|